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Guardando la coppa vinta nel 1982, non posso non ricordare l’esultanza del nostro Presidente Pertini, il suo legame profondo con questo Paese e con il calcio. La conseguenza fu che Brasile e Turchia, che si erano già incontrate nel proprio girone, si incontrarono nuovamente in una delle due semifinali. Per ciò che avrebbe potuto dare alla squadra nerazzurra, specialmente negli anni sfortunati di inizio millennio, e soprattutto per quanto di buono ha invece fatto con le maglie delle rivali di sempre Milan e Juventus. Già a 16 anni ha imparato ad essere uomo: «In camera, prima delle partite – ci racconta Antonio Filippini – io ero teso mentre invece lui era tranquillo e beato, uguale a come è in campo. Poteva succede qualsiasi cosa, niente lo turbava». Insieme hanno giocato poche partite, ma quanto basta per far capire a Pirlo che in quel ruolo sarebbe stato ancor più protagonista: «Se si fosse intestardito, probabilmente, si sarebbe perso come tanti – ci ha detto ancora Emanuele Filippini – invece ha capito che era fondamentale in quella zona del campo. Quando mi chiedono di Pirlo rispondo che la sua grandezza è stata quella di accettare il cambio di ruolo e capire che lì sarebbe diventato uno dei più grandi».

In nerazzurro, però, non riuscì mai a trovare la vera identità e fu ancora una volta Mazzone a ribadirgli quale fosse la sua strada quando tornò in prestito al Brescia nel 2000: «Davanti ho già Baggio che fa il tuo ruolo, tu mi servi dietro, devi fare il regista». È un’Inter ancora amareggiata dal testa a testa Scudetto con la Juventus (sì, quello del contatto Ronaldo-Iuliano ), ma è pur sempre la squadra che annovera tra le proprie fila Baggio e Ronaldo, Zanetti e Simeone, Bergomi e Pagliuca. Pirlo e Baggio insieme, a pensarci adesso viene la pelle d’oca. Qualche anno più tardi i due avrebbero vinto un Mondiale e uno Scudetto insieme, ma la storia e la carriera di Pirlo cambiaraono molto prima che tutto questo succedesse: «Era un martedì pomeriggio – ricorda Antonio Filippini – Mazzone gli disse che aveva intenzione di metterlo davanti alla difesa con me e mio fratello ai suoi lati. Gli disse che quello era il suo ruolo e Pirlo lo accettò sin da subito». “Questa mostra – ha spiegato ai giornalisti presenti il presidente Tisci – ha l’obiettivo di rinsaldare il legame fra i colori azzurri e gli appassionati di questo sport attraverso un itinerario cronologico che fa rivivere i momenti più avvincenti della storia della Federcalcio.

Qui c’è la storia della nostra nazionale che, in qualche modo, ripercorre anche momenti importanti del nostro Paese. “Per noi è emozionante essere qui – continua l’assessore allo sport Pietro Petruzzelli -, vedere da vicino le vittorie principali della nostra Nazionale e ripercorrere momenti di grande emozione che hanno segnato la storia di un Paese intero. Il suo unico obiettivo era diventare grande e alla fine è diventato il più grande al mondo nel suo ruolo, quello che non doveva essere nemmeno il suo. E’ un po’ come se Caravaggio e Picasso avessero dipinto un unico fantastico quadro. Poteva rifiutarsi, fare la prima donna, ma non sarebbe mai diventato Andrea Pirlo: «A quei tempi era un giocatore totalmente diverso da quello che conosciamo – ha spiegato Emanuele Filippini a Goal – era una mezza punta, aveva 16 anni e una grandissima tecnica. Sembrava un fazzoletto che girava col vento con movenze cadenzate». Nelle giornate di vento, se ti ritrovi a passeggiare per le vie di Brescia e vedi un fazzoletto volare pensi subito ad Andrea Pirlo.

Andrea Pirlo è da ormai quasi vent’anni uno dei più grandi rimpianti dell’Inter “morattiana” . Ma chi pensa che Pirlo non si sapesse divertire non conosce la storia che ci ha raccontato Emanuele Filippini: «Per la promozione in Serie A organizzamo un concerto con la mia band, le ‘Rondinelle Rock, con cantante Maurizio Neri. Ricordo che invitammo tutti i giocatori a cantare e alla fine ognugno di loro si buttava tra la folla, ma quando venne il turno di Pirlo la gente si spostò e Andrea cadde per terra». In pochi, tuttavia, si immaginavano che quel ragazzino taciturno e con la chioma fluente sarebbe diventato uno dei giocatori più forti della storia del calcio. Questo perché Nike è uno dei pochi marchi che produce annunci meno incentrati sullo scambio di denaro-prodotto e più focalizzati sulla celebrazione dell’amore per lo sport del pubblico di destinazione. È una rivoluzione, perché con l’Europeo di Benedetti diventarono personaggi da raccontare dal vivo anche gli uomini politici, gli scrittori, gli uomini d’affari. C’era soltanto un problema: Pirlo si sentiva un trequartista e fu proprio in quel ruolo che debuttò in Serie A il 21 maggio nel 1995, subentrando a Schenardi negli ultimi minuti della sfida persa contro la Reggiana: «Sono contento di avergli lasciato il posto – ci ha detto lo stesso Schenardi ridendo – perché a suo modo mi ha fatto entrare nella storia. Ormai la gente si ricorda di me perché sono quello che gli ha lasciato il posto nel giorno del suo esordio».

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